IL PRETORE ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa relativa a controversia individuale di lavoro iscritta al numero 211 dell'anno 1988 del ruolo generale delle controversia di lavoro promossa da Melotti Maurizio, residente in Modena, rappresentato e difeso dal proc. avv. Gavino Comida e presso di lui, in Modena, via Sant'Agata, 11, elettivamente domiciliato, attore, contro la ditta officina Bindi di Bertocchi Franco, corrente in Modena, rappresentata e difesa dal dott. Sandro Silvestri e presso di lui e nel suo studio, in Modena, via del Teatro n. 1, elettivamente domiciliato convenuta in punto ad accertamento della computabilita' del periodo del servizio militare di leva ai fini del trattamento di fine rapporto e conseguente pagamento di somma ad integrazione del detto trattamento; Il pretore all'esito dell'udienza del giorno 26 ottobre 1988 fissata per la discussione orale e per la decisione della causa; Esaminati gli atti del processo ed i documenti prodotti dalla parte attrice; Sentiti i difensori delle parti, a scioglimento della riserva formulata; O S S E R V A Sull'assunto, ex adverso non contestato ed anzi implicitamente riconosciuto veritiero, di essere stato parte di un rapporto di apprendistato intercorso tra lui e l'impresa convenuta dal 5 dicembre 1984 al 29 agosto 1987, ma di avere prestato servizio militare di leva dal 18 agosto 1986 al 4 agosto 1987, l'attore pretende che, ai fini del trattamento di fine rapporto spettantogli, sia tenuto conto del periodo di servizio militare e l'ammontare dell'emolumento sia pertanto determinato, ai sensi dell'art. 2120 del c.c., per detto periodo in base alla retribuzione virtuale che avrebbe percepito se il rapporto di lavoro avesse avuto il suo normale svolgimento, in luogo della retribuzione effettiva non ricevuta, secondo quanto disposto dal terzo comma dello stesso art. 2120, quale risulta dall'art. 1 della legge 29 maggio 1982, n. 297. Egli ha proposto pertanto nei confronti dell' ex datore di lavoro domanda di accertamento della computabilita' del periodo di servizio militare di leva ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto e domanda di condanna al pagamento dell'ulteriore somma di L. 396.050 ad integrazione del trattamento riscosso. Per contrastare l'accoglimento delle domande attrici ed al fine di ottenere l'invocato accertamanto negativo della computabilita' del periodo di servizio militare nella determinazione del trattamento di fine rapporto, la parte convenuta ha sostenuto l'accezionalita' del richiamo contenuto nell'art. 2110 terzo comma alle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro previste dall'art. 2110 e la non estensibilita' in via interpretativa del principio alla diversa e pretermessa ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro per prestazione del servizio militare, ipotesi autonomamente regolata dall'art. 2111. Essendo stata fissata altra udienza per la discussione orale e per la decisione, con assegnazione alle parti di termine per il deposito di note difensive ex art. 429 secondo comma, del c.p.a., con le proprie note deositate il 25 luglio 1988 la difesa attrice ha sollevato, in via subordinata, questione di legittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 52 della Costituzione e rifacendosi alla sentenza 16 febbraio 1963, n. 8, della Corte costituzionale, dell'art. 2120 nel testo vigente, nella parte in cui non prevede il computo del periodo di servizio militare ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto. All'udienza di decisione, attesa l'intervento sentenza 4-14 luglio 1988, n. 802 della Corte costituzionale, la questione di costituzionalita' dell'art. 2120, in relazione al disposto dall'art. 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, e' stata dalla parte attrice riferita non piu' all'art. 52 bensi' all'art. 3 della legge fondamentale dello Stato. La questione e' rilevante. Il richiamo contenuto nell'art. 2120 terzo comma soltanto alle ipotesi di sospensine del rapporto di lavoro di cui all'art. 2120 e di intervento della Cassa integrazione guadagni non puo' interpretato che come deliberata esclusione ad opera del legislatore ordinario della rilevanza agli effetti del trattamento di fine rapporto del periodo di servizio militare di leva, servizio che del pari sospende il rapporto di lavoro per quanto disposto dall'art. 1, primo comma, del d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303. Detto limitativo richiamo impedisce ogni applicazione in via di interpretazione estensiva od analogica della disposizione. Cosi' e' stato ritenuto dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 802/1988 (punto 2 della motivazione in diritto) che ha giudicato corretta l'opinione del giudice a quo, secondo il quale va ravvisata all'art. 2120 una norma implicita di contenuto negativo comportante l'esclusione del tempo trascorso in servizio di leva ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto. Del medesimo avviso e' la Corte di cassazione (sentenza 5 febbraio 1988, n. 1222) la quale ha a sua volta negato l'applicabilita' dell'art. 2120, in forza di una interpretazione estensiva o analogica dichiarata inammissibile, al caso di sospensione del rapporto di lavoro per prestazione del servizio militare di leva, caso che non e' previsto dalla norma citata e che nell'art. 2111 e' oggetto di previsione distinta da quella di sospenzione del rapporto per richiamo alle armi. E' certo dunque che le domande attrici sono entrambe infondate e dovrebbero essere respinte Potrebbe addivenirsi alla decisione opposta solo qualora la questione di legittimita' costituzionale fosse ritenuta meritevole di accoglimento dal giudice della legittimita' delle leggi, la cui pronuncia in tal caso provocherebbe una modificazione del diritto positivo vigente che renderebbe fondata la pretesa del ricorrente ed accoglibili entrame le domande da lui proposte. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione va premesso che la Corte costituzionale ha dichiarato la questione non fondata, con la menzionata sentenza 4-14 luglio 1988, n. 802, unicamente in riferimento all'art. 52, secondo comma, della Costituzione e che solo con riguardo al medesimo parametro di costituzionalita' essa e' stata giudicata manifestamente infondata dalla Corte di cassazione con la medesima sentenza n. 1222/1988. La questione merita peraltro di essere nuovamente portata al vaglio della Corte costituzionale sotto altri profili che il giudice ad quem non ha avuto modo di considerare. Va altresi' premesso che uno degli argomenti che hanno portato la Corte costituzionale alla propria pronuncia negativa non appare condivisibile, tale e' quello secondo cui il trattamento di fine rapporto, a differenza dell'indennita' originariamente prevista dll'art. 2120, non sarebbe un effetto dell'anzianita'. Puo' infatti osservarsi a tale proposito che la durata del rapporto di lavoro, id est l'anzianita' di servizio, ha in realta' conservato, con l'entrata in vigore della legge n. 297/1982, la medesima rilevanza ai fini del trattamento di fine rapporto che aveva agli effetti dell'indennita' di anzianita'. E' vero che l'art. 2120 vigente non contiene piu' la prescrizione della necessaria ed inderogabile proporzionalita' dell'emolumento da esso disciplinato agli anni di servizio, prescrizione esistente invece nel testo originario dell'articolo, ma e' altrettanto vero che nel suo testo attuale e con il primo comma l'art. 2120 dispone che il, trattamento di fine rapporto deve essere calcolato per ciascun anno di servizio e quindi con riferimento all'intera durata del rapporto di lavoro, durata che ha dunque un rilievo non minore, bensi' identico, a quello che aveva in precedenza. Il trattamento di fine rapporto, non diversamente dall'indennita' di anzianita', sara' dunque di entita' tanto maggiore quanti piu' sono gli anni di servizio. Se cosi' non fosse la questione che ne occupa non si porrebbe neppure, come non sarebbe stata necessaria la previsione espressa dalla computabilita' dei periodi di sospensione dell'attivita' lavorativa nei casi previsti dall'art. 2110 ed in quelli di intervento della Cassa integrazione guadagni. In realta' la differenza fondamentale tra il trattamento di fine rapporto e l'indennita' di anzianita' e' ravvisabile nel diverso criterio di calcolo del loro ammontare. Mentre l'indennita' di anzianita' doveva essere commisurata all'ultima retribuzione percepita dal prestatore di lavoro e determinata in proporzione ai suoi anni di servizio, il trattamento di fine rapporto va ragguagliata ad una frazione della retribuzione annua percepita (o che sarebbe stata percepita se il rapporto di lavoro avesse avuto il suo normale svolgimento) ma ancora una volta per tutti gli anni di servizio, quindi per l'intera durata del rapporto. L'identica rilevanza dell'anzianita' che ne deriva, ai fini della misura complessiva dell'attribuzione pecuniaria, salvo il diverso termine di riferimento (retribuzione di ogni singolo anno in luogo dell'ultima), rende del tutto assimilabili sotto tale riguardo i due emolumenti, giacche' ognuno di essi e' direttamente proporzionato quanto alla sua entita' complessiva all'anziamita' di servizio dell'avente diritto e rende allo stesso modo determinanti, agli effetti della liquidazione del trattamento di fine rapporto, i periodi di sospensione della prestazione lavorativa per malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, cassa integrazione e servizio militare, come tutti lo erano in precedenza per la liquidazione dell'indennita' di anzianita'. La diversita' di trattamento riservata al legislatore del 1982 al periodo di sospensione del rapporto per la prestazione del servizio militare di leva, rispetto alle altre ipotesi di sospensione nominativamente (e tassativamente) previste dall'art. 2120 terzo comma, non appare in linea con il principio di ugualgianza stabilito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione e prima ancora con l'altrettanto fondamentale ed inderogabile principio di necessaria complessiva razionalita' del sistema, desumibile dalla medesima disposizione costituzionale alla luce delle ragioni che hanno indotto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 8/1963, a dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni allora in vigore che esludevano il diritto del prestatore di opere all'indennita' di anzianita' per il periodo di assenza dal lavoro per adempimento degli obblighi di leva, quali che fossero la natura, la funzione e la nisura dell'indennita'. Non appare conforme al principio di uguaglianza, ne' razionale, la defferenziazione (risolventesi in una vera e propria discriminazione in danno del militare in servizio di leva) reintrodotta dal legislatore ordinario qualora si consideri che l'interruzione dell'attivita' lavorativa per l'adempimento degli abblighi di leva non e', al pari dell'interruzione determinata da malattia ed infortunio, in alcun modo addebitabile al lavoratore ma derivante da un obbligo di legge il cui assolvimento non deve (come ed a maggior ragione delle precarie condizioni di salute comportanti anch'esse impossibilita' della prestazione del lavoratore) pregiudicarne la posizione di lavoro (art. 52, secondo comma, della Costituzione) e quindi non solo impedire la conservazione dell'occupazione ma anche soltanto limitare od escludere le conseguenze legali di carattere patrimoniale della conservazione del rapporto che sono dalla legge riferite alla anzianita' di servizio e quindi alla durata complessiva del rapporto di lavoro. Attenendo due delle cause di sospensione previste dall'art. 2110 (la gravidanza ed il puerperio) esclusivamente alla condizione propria delle persone di sesso femminile, mentre la prestazione del servizio militare e' per diritto positivo obbligo peculiare dei cittadini di sesso maschile, la disparita' di trattamento, ai fini considerati, tra il periodo di gravidanza e di puerperio da un lato ed il periodo di servizio militare di leva dall'altro, si risolve in una pregiudizievole differenziazione del trattamento riservato per legge ai lavoratori di sesso maschile rispetto a quelli di sesso femminile, differenziazione essenzialmente inerente alla diversita' di sesso, con vilazione anche sotto tale riguardo del principio di uguaglianza, che vieta ogni disuguaglianza sul sesso fondata. Se e' vero che la ricomprensione dei periodi di gravidanza e di puerperio nell'art. 2120 terzo comma trova ampia e sicura giustificazione nella speciale tutela che la Costituzione accorda alla donna lavoratrice ed alla sua essenziale funzione familiare (art. 37 primo comma), nonche' alla maternita' ed all'infanzia (art. 31, secondo comma), e' altrettanto vero che rilievo costituzionale, oltreche' sociale ed etico, non inferiore deve essere riconosciuto al dovere "sacro" di difesa della Patria (art. 52, primo comma della Costituzione), all'adempimento del quale il servizio militare di leva e' propedeutico ed il cui valore e' dunque esaltato e reso preminente su ogni altro dalla sacralita', quindi dalla massima elevatezza costituzionalmente affermata, sotto ogni riguardo, dello scopo. Non sembra dunque legittima dal punto di vista costituzionale la diversita' di trattamento esistente in ordine al trattamento di fine rapporto tra la lavoratrice madre ed il lavoratore militare di leva. Non appare determinante per escludere la fondatezza della questione la circostanza che in tutte le ipotesi di sospensione del rapporto privilegiate rispetto al servizio militare di leva il prestatore di lavoro abbia diritto ad una prestazione assicurativa (indennita' di malattia, indennita' giornaliera, indennita' di maternita' o integrazione dei guadagni) sostitutiva della perduta retribuzione. Innanzitutto perche' anche chi presta servizio militare ha diritto ad una elargizione pecuniaria erogata dallo Stato ed integrata da attribuzioni ulteriori in natura (vitto, alloggio, vastiario, servizi) sicuramente diverse dalle provvidenze di carattere previdenziale ma aventi l'analoga funzione di sostentamento e di parziale compenso della retribuzione (eventualmente) perduta. Ma soprattutto perche' il trattamento di fine rapporto non e' dalla legge riferito alla misura ed alla stessa erogazione delle singole provvidenze assicurativa della retribuzione, bensi' alla retribuzione virtuale che il lavoratore ammalato, infortunato, collocato in cassa integrazione o la lavoratrice gravida o puerpera avrebbe percepito se la causa di sospensione del arpporto non fosse intervenuta e la prestazione lavorativa avesse avuto esecuzione. Non vi e' dunque motivo per trattare diversamente il lavoratore in servizio militare di leva e non riconoscere anche per lui la rilevanza, per il periodo di servizio militare, della retribuzione perduta ma facilmente e sicuramente determinabile in questo come negli altri casi. La possibile violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione e' ben ipotizzabile anche sotto il diverso profilo prospettato dalla difesa attrice, la quale ha posto in evidenza il miglior trattamento riservato dalla legge ai pubblici dipendenti in servizio militare di leva rispetto a coloro che, anch'essi militari in servizio di leva, siano invece soggetti ad un rapporto di lavoro subordinato privato. Mentre per questi ultimi, come si e' detto, il periodo di servizio militare non e' computabile ai fini del trattamento di fine rapporto, per i pubblici dipendenti dispone invece l'art. 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, recante norme sul servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata, che il periodo di servizio militare e' valido a tutti gli effetti per l'inquadramento economico e per la determinazione dell'anzianita' lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico. In tale disposizione si e' data reale e completa attuazione anche per il servizio militare di leva al principio dell'art. 52, secondo comma, della Costituzione per il quale l'adempimento dell'obbligo di prestatore di servizio militare non puo' pregiudicare la posizione di lavoro del cittadino, posizione da intendersi nel senso lato e non limitato alla sola garanzia di conservazione dell'occupazione gia' evidenziata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 8/1963. Per trattamento previdenziale del settore pubblico va inteso essenzialmente quello costituito dall'indennita' di buonuscita dei dipendenti statali e dall'indennita' premio di servizio che compete, al termine del rapporto di impiego, ai dipendenti degli enti locali. Infatti il d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, di approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato, si contrappone al d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, di approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei medesimi dipendenti, sia civili che militari, mentre la legge 8 marzo 1968, n. 152, contiene le norme in materia previdenziale per il personale degli enti locali e si contrappone a sua volta alle norme costituenti l'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati ed ai salariati degli enti locali, norme contenute nel r.d.-l. 3 marzo 1938,n. 680, nella legge 25 luglio 1941, n. 934, ed infine nella legge 11 aprile 1955, n. 379, unificativa delle, in precedenza distinte, Casse di previdenza. Il servizio militare di leva e' dunque equiparato al periodo di normale prestazione di attivita' lavorativa ai fini della liquidazione tanto dell'indennita' di buonuscita quanto dell'indennita' premio di servizio, cioe' a prestazioni previdenziali erogate da enti (rispettivamente l'E.N.P.A.S. e I.N.A.D.E.L.) diversi dallo Stato a favore del quale il servizio militare e' prestato, che sono finalisticamente corrispondenti ed ontologicamente assimilabili alla antecedente indennita' di anzianita' ed all'attuale trattamento di fine rapporto. I dipendenti pubblici di conseguenza, a differenza dei dipendenti da privati o da enti pubblici economici, non ricevano alcun pregoudizio dalla prestazione del servizio militare di leva (e neppure dal suo volontario prolungamento) ai fini del loro trattamento di previdenza. Tanto grave disparita' di trattamento non appare giustificata dalla diversita', pur esistente ma sempre piu' attenuata, del rapporto di lavoro pubblico del rapporto di lavoro privato. Prevalente su ogni altra considerazione sembra debba essere l'identita' dell'obbligo di prestazione del servizio militare di leva gravante sia sui pubblici come sui privati dipendenti e la necessita' che per entrambe dette categorie di lavoratori, e non soltanto per una di esse, trovi applicazione il dettato costituzionale e venga evitato quel pregiudizio che l'art. 52, secondo comma, della Costituzione vuole sia impedito. Infine dopo che, con la piu' volte menzionata sentenza 8/1963 era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, secondo comma, del d.l. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, il quale escludeva il diritto del prestatore d'opera al computo del periodo del servizio militare di leva ai fini del calcolo della indennita' di anzianita', sentenza che aveva pertanto comportato la computabilita' ai suddetti fini del servizio di leva, la sostituzione da parte del legislatore ordinario all'indennita' di anzianita' del trattamento di fine rapporto senza ricomprendere nella previsione dell'art. 2120 terzo comma nuovo testo il servizio militare di leva tra le cause di sospensione del rapporto di lavoro nella ricorrenza delle quali per la liquidazione dell'emolumento si deve avere riguardo alla retribuzione virtuale in luogo di quella effettiva mancante, non appare in linea con il disposto dell'art. 136, primo comma, della Costituzione. Come reiteratamente precisato dalla Corte costituzionale (da ultimo con la sentenza 8-28 luglio 1988, n. 922, ed in precedenza con le sentenze n. 73/1963, n. 88/1966 e n. 223/1983) le decisioni di accoglimento della Corte hanno per destinatari non solo chi e' chiamato ad applicare la legge, ma lo stesso legislatore, al quale e' quindi precluso perseguire e raggiungere, direttamente od indirettamente, risultati corrispondenti a quelli gia' ritenuti lesivi della Costituzione. E' pertanto vietato di far rivivere norme gia' divenute inefficaci in conseguenza della dichiarazione della loro illegittimita' da parte della Corte costituzionale e la violazione di tale principio contrasta con il rigore del precetto contenuto nell'art. 136, primo comma, della Costituzione, che impone al legislatore ordinario di uniformarsi alla immediata cessazione della giuridica efficacia della norma illegittima, senza che se ne possa prolungare la vita, o che la si possa far risorgere. E' proprio questo invece che ha fatto il legislatore dal 1982, allorche', con la legge 297, avendo pretermesso il servizio militare di leva dalla tassativa previsione del nuovo art. 2120 terzo comma, ha ricreato, in relazione alle spettanze del lavoratore in caso di estinzione del rapporto di lavoro, l'identica situazione normativa esistente sino all'intervento del 1963 del giudice della legittimita' delle leggi, situazione giudicata incostituzionale ed espunta dall'ordinamento positivo ma in questo surrettiziamente reintrodotta nel 1982. L'abolizione formale dell'istituto dell'indennita' di anzianta', la istituzione in sua vece del trattamento di fine rapporto e la nuova disciplina cosi' data alla materia, non costituiscono un mutamento del quadro normativo tale da giustificare la stabilita reviviscenza della disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima. Nei loro elementi fondamentali, ma soprattutto in quelli che interessano, l'istituto dell'indennita' di anzianita' e l'istituto che lo ha sostituito sono sostanzialmente analoghi (salvo che per il sistema di liquidazione come si e' detto), sicuramente corrispondenti, rivolti al perseguimento del medesimo fine, quindi funzionalmente identici, tenuto conto delle modificazioni al tenore originario dell'art. 2120 (conseguentemente della natura e della funzione dell'indennita' di anzianita') derivanti dal fondamentale arresto della Corte costituzionale di cui alla sentenza 27 giugno 1968, n. 75, ed all'intervento dello stesso legislatore ordinario attuato con l'art. 9 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Non puo' pertanto ritenersi consentita la mancata ricomprensione del servizio militare di leva tra le cause di sospensione del rapporto di lavoro che danno nondimeno diritto, per il periodo di sospensione, al trattamento di fine rapporto, ma e' necessaria ex art. 136 Costituzione, la sua rilevanza, nella identica misura risultante dall'adozione del medesimo criterio di commisurazione stabilito per le altre cause di sospensione arbitrariamente preferite. La questione, sotto i diversi profili esaminati, deve essere pertanto rimessa alla Corte costituzionale ed il giudizio va' sospeso.